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MisteriosaMente


 

Dott. Paola Locci

Medico Chirurgo

Specialista in

Psicologia Clinica

Psicoterapeuta

 

 

 

 

 

 

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Writing Therapy

 

9 domande sulla scelta di un metodo

 

 

Che cos'è la Writing Therapy?

In senso letterale, è la scrittura terapeutica.

Non è certamente una novità il potere terapeutico della scrittura: è noto che la verbalizzazione, soprattutto se scritta, di eventi, pensieri ed emozioni può avere effetti positivi sull’umore e sull’equilibrio psico-fisico in generale. Ed è una tendenza che rispecchia in fondo la necessità dell’essere umano di raccontare e raccontarsi.

Naturalmente poi esistono diverse applicazioni di quella che può essere considerata una tecnica generica, a seconda che si inserisca in un quadro di auto-aiuto o in un progetto terapeutico guidato, più articolato, in cui assume importanza l'orientamento del singolo terapeuta.

 

Qual è il suo orientamento, dottoressa?

L’esperienza sul campo, accompagnata da costante studio e aggiornamento, e considerando anche le recenti acquisizioni nel settore delle neuroscienze e della psicofarmacologia,  mi ha convinto della validità di un approccio integrato che, pur mantenendo una struttura teorica di base ben definita – cognitivo-costruttivista - fosse plasmabile e adattabile a ciascun singolo caso. Non escludendo quindi qualsiasi strategia possa essere utile, dalle tecniche classiche della terapia cognitivo-comportamentale, ai farmaci, alla... Writing Therapy.

 

Qual è stato il suo percorso?

Dopo la laurea in Medicina, conclusa con una tesi in Medicina Psicosomatica, mi sono specializzata in Psicologia Clinica, una specializzazione affine a Psichiatria ma più centrata sulle psicoterapie. Optando per giunta per la scuola della Facoltà di Psicologia (piuttosto che quella di Medicina): infatti volevo affrontare lo studio dei processi psicologici da un punto di vista diverso da quello strettamente medico. Una scelta che supponevo, e speravo, mi avrebbe fornito una visuale più ampia e completa.

La supposizione si rivelò esatta - e portatrice sulle prime di non poche difficoltà - e la speranza, alla fine, non fu  delusa. La mia naturale inclinazione ad integrare, piuttosto che escludere, il contributo di modelli e indirizzi teorici differenti fu favorita e appagata.

Dopo l’imprescindibile partenza dalla Psicanalisi (Freud) e successive Teorie Psicodinamiche, e dopo la Psicologia dei Gruppi (Bion), quella Sistemica (Bateson), e la Terapia Familiare (Minuchin), sono approdata al Cognitivismo classico (Beck) e poi alla Rational-Emotive Behaviour Therapy (Ellis), passando in seguito per il Costruttivismo (Kelly) e il Post-Razionalismo (Guidano), integrando via via gli apporti fondamentali della Teoria dell’Attaccamento (Bowlby) e dell’Analisi Transazionale (Berne).

La tesi di specializzazione con il Prof. Francesco Mancini, insigne esponente del cognitivismo italiano, ha concluso l’iter universitario.

 

Come è arrivata alla Writing Therapy?

Tra le varie tecniche, l’utilizzo della scrittura, in particolare, si è rivelato efficace al di là delle mie aspettative. L’interesse per la filologia cognitiva e l’approfondimento delle strategie comunicative, l’analisi del linguaggio e degli schemi verbali mi hanno fornito ulteriori motivi di riflessione.

E così, nel corso dell’ultimo decennio di attività clinica, ho gradualmente sviluppato un metodo, sul modello rielaborato della Writing Therapy (James W. Pennebaker) affiancandolo ai classici colloqui face to face – metodo facilitato dai moderni mezzi informatici.

 

Come entra l’informatica in questo discorso?

Personalmente continuo a considerare il computer uno strumento, un mezzo, che può essere usato in moltissimi modi. Chiunque può, tramite Internet, rivolgendosi ad un pubblico illimitato, fornire informazioni, comunicare idee, presentare progetti e proposte.

In ambito psicoterapico, è nata la E-Therapy, o terapia on line, che prevede sedute tramite video, e/o collegamento telefonico, e persino le chat, in cui un terapeuta e un cliente possono interloquire in tempo reale quasi come se fossero uno di fronte all’altro.

Per tornare alla scrittura, fioriscono in rete siti su scrittura creativa, diario terapeutico, festival dell’autobiografia, ecc. Esistono corsi (negli Stati Uniti e altrove) che insegnano la Writing Therapy “self-guided”; in questo caso ciò che viene scritto è destinato a non essere mai letto da nessun altro che non sia l’autore.

 

Per la Writing Therapy è indispensabile il computer?

Io mi servo del mezzo informatico solo per comodità, in quanto è il testo scritto in sé, e non il modo in cui viene trasmesso, che è il cardine della terapia; testo che, a differenza del “compito a casa” di matrice cognitivista, prevede anche una risposta scritta. Inoltre, la scrittura può essere lo strumento esclusivo, oppure – meglio – affiancarsi ai classici colloqui in studio, sporadici o ad intervalli regolari.

 

Perché la risposta scritta?

Perché crea una continuità, rafforza la cosiddetta "relazione" terapeutica e attiva o riattiva un dialogo, anche mentale, che va ad interrompere dei monologhi spesso ripetitivi e infruttuosi.

Non va neppure sottovalutata la possibilità di auto-verifica da parte del terapeuta.

Sto parlando quindi di una scrittura strutturata e guidata che viene analizzata non solo nel contenuto, ma anche nel linguaggio.

“The words we use reflect who we are”, sostiene Pennebaker.  

Parafrasando una celebre canzone, si potrebbe dire: “We are the word…”

La comprensione dei propri schemi verbali, specchio del modo di sentire e pensare, personale ed unico, accelera e arricchisce  il processo di consapevolezza e di auto-conoscenza, obiettivi preliminari di qualsiasi psicoterapia, e alla base del “cambiamento”, sia che si tratti di ridurre aspetti propriamente psicopatologici, sia che si tratti semplicemente di migliorare la qualità della vita, migliorando la relazione con se stessi e con il resto del mondo.

Con l’indubbio vantaggio di avere una traccia scritta, che si delinea pian piano come una vera e propria storia, quasi una sceneggiatura, con racconti, lettere, dialoghi, a volte immagini. La narrazione di un percorso che può essere riletto e riesaminato, scoprendone ogni volta nuovi sorprendenti particolari.  

 

Non basta parlare? A cosa serve scrivere?

Inizialmente a mettere ordine nei propri pensieri.  “La mente preferisce l’ordine al caos”… Un caos spesso all’origine di un malessere di cui non si capisce neppure la ragione. Si verifica poi una vera e propria scoperta dei propri pensieri, delle proprie convinzioni, delle certezze e dei dubbi, come se in realtà prima non si conoscessero. E naturalmente, come dicevo, quanto scritto può essere analizzato e discusso, insieme ad un’altra persona, prendendosi tutto il tempo che occorre ad una riflessione approfondita.

 

Come si fa a mettere ordine?

Sforzandosi di trovare le parole giuste per esprimere sensazioni a volte impalpabili, sentimenti non sempre ritenuti edificanti, emozioni che si tende, per pudore o abitudine, a minimizzare e nascondere, il tutto miscelato in una confusione indistinta, con salti continui di prospettiva e di livello. Trovare le parole giuste però non è semplice, soprattutto se si deve scriverle; messe lì, nero su bianco, a volte sembrano inadeguate, insufficienti.

Talvolta invece si ha quasi l’impressione che alcuni pensieri abbiano una vita propria e che preferiscano la via scritta per manifestarsi.

Rileggendo, poi, è più facile scoprire le note stonate, le contraddizioni, le omissioni, le incoerenze.

Può capitare che le parole scritte sembrino le parole di qualcun altro.

Rileggere i propri pensieri scritti è come sentire, per la prima volta, la propria voce registrata: sappiamo che è la nostra, ma non la riconosciamo.

 

 

 

 

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