FamigliarMente
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La famiglia e le sue
dinamiche. I rapporti reciproci,
le fasi del ciclo vitale, gli
eventi più importanti.
Soli per caso?
E’
estate. Non c’è trasmissione, radiofonica o televisiva, che
non parli, quest’anno come tutti gli anni, del problema
degli anziani lasciati soli. Si fanno paragoni strazianti
tra i cani abbandonati sulle autostrade e i vecchi
abbandonati negli ospizi o – non si sa se meglio o peggio –
nelle loro casette solitarie. Si lanciano accuse cariche di
riprovazione e disprezzo ai figli degeneri che lasciano soli
i loro poveri vecchi genitori per andarsene in vacanza. Si
mostrano spot in cui dolcissime vecchiette e teneri
vecchietti sorridono mentre danno briciole agli uccellini o
accarezzano un bambino.
E’ una
triste verità. Ma spesso non è
tutta la verità. La verità, di cui nessuno parla,
perché è una verità antipatica, scomoda, è che dietro ogni
anziano c’è stato un adulto, un giovane, un marito e padre
(o moglie e madre). Voglio dire che non si diventa
diversi solo perché si è
invecchiati; possono accentuarsi certe caratteristiche,
possono intervenire piccoli cambiamenti tipici dell’età,
come una maggiore diffidenza verso le cose nuove, o una
maggiore insicurezza, ma non tali da snaturare completamente
l’indole di una persona.
Si
tende a considerare "gli anziani" come una
categoria omogenea, come "i
giovani" o "i cinesi".
Li si
tratta generalmente come se fossero tutti fragili, indifesi.
Ci si predispone a sfoderare un’infinita pazienza e a non
prenderli troppo sul serio; gli si urla nelle orecchie come
se fossero tutti sordi; negli ospedali le infermiere li
chiamano nonno e
nonna. Si dà per scontato che
sono – sempre e comunque – rimbambiti.
Quando
conosciamo un anziano da anziano, difficilmente ci
chiediamo che persona è stata,
che vita ha condotto, come si è comportato con gli amici,
nell’ambiente di lavoro, nel condominio, dentro casa sua.
Che tipo di genitore è stato
per i propri figli. Li ha veramente voluti, capiti,
coccolati, protetti, amati?
Ho
conosciuto persone che hanno sacrificato la parte più bella
della loro vita per accudire i genitori anziani. Li hanno
tenuti con sé, rinunciando a volte persino a farsi una
famiglia propria. Altri rinunciano solo alle vacanze,
al proprio scarso tempo libero, a frequentare gli amici,
perché l’anziano genitore "ha bisogno di compagnia", e a
casa "ha bisogno di tranquillità". Spesso sono felici di
fare questi sacrifici perché hanno in cambio la possibilità
di stare ancora vicino a persone a cui sono legati da
profondo affetto, da riconoscenza, da ricordi bellissimi e
preziosi. Di questi genitori e di questi figli, in fondo
fortunati, non si parla mai.
Ci sono
poi casi meno fortunati. Conosco una persona che si è
occupata del padre vedovo da quando lui aveva sessant’anni -
ed era in ottima salute - fino ai 98: solo negli ultimi anni
aveva veramente necessitato di assistenza. E questo padre
sempre, e non a causa della demenza insorta solo alla fine,
era stato un uomo non particolarmente cattivo, ma egoista,
capriccioso, prepotente, che aveva reso la vita impossibile
a tutti quelli che gli stavano intorno. Bisognerebbe essere
capaci di perdonare, ma è una gran bella impresa finché
abbiamo ancora davanti una persona che continua ad
essere egoista, capricciosa, prepotente…
Potrei
citare anche decine di storie in cui, senza arrivare ad atti
eroici, i figli intervengono ogni volta che ce n’è veramente
bisogno, che accorrono in caso di malattia, o di altri
problemi gravi. “Però questo fa parte dei doveri di un
figlio!” – possono dire i soliti moralisti della morale
altrui – “Per gli anziani non basta l’assistenza, ci vuole
qualcosa in più, compagnia,
ascolto, affetto!”
Ma per
fare quel qualcosa in più, per
portarsi un genitore a vivere a casa propria, a condividere
la propria vita rinunciando a parte della propria libertà,
oppure in vacanza, tenendo necessariamente conto delle sue
esigenze, il senso del dovere non basta.
Ci
vorrebbe amore. Ma
l’amore non si inventa, non si compra, non si impone per
legge. Mia madre diceva “Amore con
amor si paga”.
Come si
fa a giudicare un figlio che non può o non vuole
occuparsi, più dello stretto necessario, dei propri vecchi?
E' veramente insensibilità, ingratitudine, malvagità?
Cosa ne
sappiamo di tutta la sua vita precedente, che tipo di
relazione ha avuto con i genitori, se e quanto
affetto e
comprensione ha ricevuto. Nella mia professione vedo,
e a volte mi sembra quasi di toccare, l’invisibile
sofferenza incamerata in certe infanzie, certe adolescenze.
Ci sono ferite che non si rimarginano mai. Ci sono adulti
che continuano per tutta la vita a sentire il vuoto di una
carezza non ricevuta, di un sorriso di conforto aspettato
invano, di quel minimo di rispetto
che dovrebbe appartenere di diritto a ciascun essere
vivente. Eppure i genitori di queste persone sono sempre
convinti di aver fatto il massimo per i loro figli: li hanno
nutriti, li hanno vestiti, li hanno mandati a scuola,
perbacco! E quel qualcosa in più?
Ogni
volta che vedo un anziano solo, mi domando: non ha proprio
più nessuno?
O forse
non è solo per caso...
(Luglio 2002)
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