TeoricaMente 13
Questa pagina tratta di argomenti di
base della psicologia,
i suoi meccanismi, le sue leggi. Quei
meccanismi e quelle leggi
che tutti utilizziamo, ma… senza saperlo.
Psicoterapia e cambiamento
Il “cambiamento”
è l’obiettivo di qualsiasi psicoterapia. Cambiamento nella
direzione di un maggiore benessere, di una migliore capacità
di trovare in se stessi nuove modalità e risorse
nell’affrontare la propria vita.
Un momento fondamentale nel cambiamento è
quello che sto per descrivere.
Una giovane signora, chiamiamola Armida, in
terapia da circa due anni per una forma depressiva piuttosto
seria, mi ha manifestato recentemente, non senza sorpresa,
un improvviso netto miglioramento del suo umore e dello
stato di salute complessivo.
Le psicoterapie sono strani oggetti, come i
computer: talvolta sembra che abbiano una volontà propria. A
volte sembra che tutto si sia bloccato, come una specie di
lunga sosta in un percorso al buio faticoso e accidentato, e
a volte c’è un balzo in avanti e il percorso sembra,
improvvisamente, più agevole e meno buio. Se fosse un
processo graduale non stupirebbe, dopo tanti mesi o anni di
lavoro, ma quello che stupisce è proprio la subitaneità,
come quando, solo con gli ultimi pezzi di un puzzle
complicato, si riesce finalmente a riconoscere il soggetto
raffigurato.
Esiste un termine in psicologia per
descrivere questo fenomeno, che è
insight, e che infatti ha a che fare anche con la
visione.
Spesso le persone mi dicono: io
so da sempre certe
cose, me le sono ripetute mille volte, ma questo non mi fa
stare meglio. Come dice Woody Allen: ho dato migliaia di
dollari al mio analista per sapere che odio mia madre, e
adesso? Ma, battute a parte,
sapere è una cosa,
prendere atto nel profondo è un’altra. La prima
attiene al ragionamento, la seconda al piano emozionale,
interiore, per dirla con Freud: inconscio.
E’ un sapere diverso.
Se vogliamo usare un’altra metafora, è come
se dopo essere stati al buio in una stanza di cui si pensa
di conoscere ogni particolare, all’improvviso si accendesse
una luce che ci consente di vedere veramente, per la prima
volta, dove siamo, e ci accorgiamo di quante cose ci fossero
sfuggite.
Ho assistito a questo fenomeno numerose
volte, e l’ho vissuto io stessa tanto tempo fa, ma ogni
volta mi meraviglia, come molti altri aspetti di
quell’entità misteriosa che è la nostra psiche.
Non voglio dire che il verificarsi di un
insight durante una terapia equivalga alla soluzione di ogni
problema. Non dico che da quel momento è tutto risolto,
tutto andrà bene, però, anche se non risolutivo, è
certamente un evento molto positivo, perché chi ne fa
l’esperienza ora sa che tale evento è possibile e che può
ripetersi, più e più volte.
Sì, ma a che serve?
Giustamente qualcuno potrebbe farmi questa domanda. A questo
qualcuno io rispondo proseguendo con la metafora: si
sentirebbe più tranquillo in una stanza che conosce bene ma
al buio, o nella stessa stanza con la luce accesa? Il buio
spaventa da sempre gli esseri umani, è un fatto atavico, ma
non meno spaventa il buio nella mente. E per quanto ci
faccia paura vedere davvero
certe realtà, vederle è comunque meglio del buio.
La prova, nel caso di Armida, sta nel fatto
che, pur non essendo cambiato nulla nella sua difficile
quotidianità, ella ha avuto, dopo tanto tempo, una settimana
in cui si è sentita decisamente meglio, ha dormito di più
dopo anni di insonnia, era meno arrabbiata, meno sofferente.
Mi auguro che con il passare dei giorni sia ancora così. Ma
se non fosse così, sono quasi certa che Armida non ricadrà
nella disperazione: ora sa che è
possibile. E’ possibile stare meglio senza che
accada nulla di eccezionale, solo perché la mente riesce,
per motivi in parte noti e in parte a noi sconosciuti, ad
acquietarsi e a farsi una ragione di quanto accade o è
accaduto… al suo proprietario.
Arriverei a dire che proprio perché in
apparenza non è successo nulla di nuovo, un diverso migliore
stato d’animo può essere solo il risultato di qualcosa che è
accaduto dentro, non
legato cioè ad avvenimenti esterni. Questo è importante.
Rendersi conto che la nostra serenità
non deve necessariamente dipendere dagli avvenimenti esterni
è un forte elemento di rassicurazione. Quando Armida mi ha
detto che sono crollate tutte le sue certezze, forse ancora
non si rendeva conto di quanto questo sia positivo: è
un’altra dipendenza – forse la più difficile da cui uscire –
di cui si sta liberando.
La consapevolezza
dell’assoluta precarietà e limitatezza della condizione
umana può diventare paradossalmente un fattore di
serenità. Pensiamoci: se non ci fa più tanta paura l’ignoto
e l’imprevedibile della nostra esistenza, cos’altro può
farci paura?
Se poi a questa consapevolezza uniamo la
coscienza dei nostri (e altrui) limiti, se cerchiamo di fare
del nostro meglio e riusciamo ad accettare i nostri (e
altrui) errori e manchevolezze, ecco che la serenità non
appare più come qualcosa di impossibile.
Non voglio essere fraintesa, non sto parlando
di un improbabile nirvana; non auspicherei per nessuno uno
stato di totale imperturbabilità! Però auspicherei
senz’altro un lieve fluttuare
tra una ragionevole volontà di combattere ragionevoli
battaglie, e una saggia capacità di ritrarsi da cose più
grandi di noi, senza vivere tale ripiegamento come una
sconfitta.
Le certezze non servono. I punti di
riferimento non sono assoluti: il nostro nord è dentro di
noi, bisogna solo scoprirlo.
Il cambiamento comincia da qui.
(Gennaio
2007)
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