
IL PRISMA 15
.. l’originalità e l’autonomia di chi pensa ad un problema con la
mente
sgombra da preconcetti e schemi rigidi...
... cercare di vedere, di volta in volta prendendo
spunto dall’attualità, almeno un altro lato – oltre a quello più visibile –
di un immaginario
prisma
che
può servire a rappresentare, simbolicamente, situazioni, temi, concetti,
frequentemente presenti nei nostri discorsi, sui giornali, nelle
televisioni...

Per Natale voglio raccontarvi una favola.
Tanto tanto tempo fa, c’erano tre ragazze, tre amiche, sui vent’anni,
carine e simpatiche. Erano entrate nel mondo del lavoro molto presto, per
quella strana mania dei giovani dell’epoca di diventare indipendenti, e
quell’anno avevano deciso di godersi le meritate vacanze estive in una
ridente cittadina del sud. Erano partite con una 500, pinne e bagagli,
alloggiavano in città in un alberghetto appena dignitoso e tutte le
mattine si recavano alla vicina spiaggia libera, con panini e crema
solare. Niente stabilimenti, niente ombrelloni, niente servizi. Solo il
mare cristallino e qualche baracca di pescatori.
Nel giro di pochi giorni la loro presenza attirò, com’era giusto sano e
naturale che fosse, alcuni ragazzi che, essendo del luogo, conoscevano
quella meravigliosa spiaggia semideserta, appena discosta dal circuito,
comunque scarso, del turismo familiare.
Un po’ di diffidenza iniziale, dettata dalla cautela che si
acquisisce vivendo in una grande città, fu presto dissipata dalla buona
educazione, la cortesia, il rispetto non ipocrita e non affettato, dei
ragazzi, qualcuno studente, qualcuno artigiano. Le giornate passavano
serenamente, tra bagni e lunghe chiacchierate. La grande gioia di
comunicare tra coetanei esperienze diverse, in regioni diverse della
stessa nazione, quando non esistevano ancora internet e cellulari e
trecento chilometri sembravano tremila. E la macchina fotografica faceva
foto in bianco e nero.
Tra questi ragazzi “grandi” si intrufolarono quasi subito un paio di
ragazzini quindicenni, e un loro cuginetto riccioluto di 3-4 anni, che
aveva un fisico sorprendente: non cicciottello e morbido come un
bambolotto, ma un fisichetto asciutto e muscoloso come un piccolo uomo in
miniatura.
Uno dei due quindicenni in particolare cercava di esserci sempre, discreto
e mai invadente. Un ragazzino magro magro con gli occhi del colore del
mare quando il cielo è nuvoloso e una zazzera bionda che tradiva lontane
origini normanne, come per molta gente del sud.
Nino era il nono figlio di una famiglia di pescatori, una di quelle che
vivevano sulla spiaggia. Era una famiglia poverissima, che campava davvero
solo di pesca; il padre, intravisto una volta da lontano, sembrava
un vecchio, anche se non doveva esserlo.
Una volta Nino, invece di andare a pesca, andò a raccogliere i ricci per
quelle belle ragazze scese dal nord; si tuffava e si rituffava come i
pescatori di perle e quei ricci, forse, a lui sembravano proprio perle. Le
prese dal padre di santa ragione, ma lui non lo avrebbe detto neppure con
una pistola puntata alla tempia; lo raccontò la sua ragazzina, quindicenne
anche lei.
Era un ragazzino speciale, fine, dolce, forte, garbato come un piccolo
lord. E le ragazze lo trattavano con altrettanto garbo, e considerazione.
Lo incoraggiarono a studiare, a darsi da fare per migliorare la sua
condizione; lui diceva ma noi siamo molto poveri, come faccio a studiare?
Fai qualche sacrificio, ci sono scuole serali, puoi lavorare e studiare,
sei giovanissimo e intelligente, puoi farcela.
La vacanza finì, come tutte le cose belle. Scambi di indirizzi,
promesse di rivedersi, abbracci e occhi umidi.
Trentasei anni dopo, ad una delle (ex) ragazze arriva una telefonata. Ti
ricordi di me? Sono Nino il pescatore. Cioè, non sono più un pescatore. Ho
fatto tesoro dei consigli, mi sono messo a lavorare in fabbrica e la sera
studiavo. Mi sono sposato prestissimo con la mia ragazzina di allora. Così
mi sono diplomato e ho una piccola azienda dove lavorano anche i miei due
figli più grandi. Ora sulla spiaggia ho una villa. Ho anche una figlia,
che ancora studia e, sai? le abbiamo dato il tuo nome. Quando siete
partite, tu mi hai regalato la tua maschera subacquea e io l’ho conservata
per tutti questi anni. Volevo dirtelo, che sono un uomo realizzato, e
felice.
Magia delle parole!
Bisognerebbe ricordarselo più spesso che una parola buona può fare
miracoli.
Ah, quasi dimenticavo di dirvelo: è tutto vero. Ho appena ricevuto le foto
dei nipotini di Nino, un maschietto e una femminuccia con gli stessi occhi
grigio-azzurro, lo stesso sguardo dolce e gentile.
Buon Natale
(Dicembre 2006)

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