
IL PRISMA 13
.. l’originalità e l’autonomia di chi pensa ad un problema con la
mente
sgombra da preconcetti e schemi rigidi...
... cercare di vedere, di volta in volta prendendo
spunto dall’attualità, almeno un altro lato – oltre a quello più visibile –
di un immaginario
prisma
che
può servire a rappresentare, simbolicamente, situazioni, temi, concetti,
frequentemente presenti nei nostri discorsi, sui giornali, nelle
televisioni...
Lippi ha ragione…
Non
mi interessa il calcio. Ebbene sì, esiste anche qualcuno che
riesce a sopravvivere facendo a meno di questo invadente
circo in boxer e calzettoni, non per snobismo, per carità;
solo che se guardo una partita, non riesco a non distrarmi
nei primi 3 minuti. E’ certamente un mio limite.
Però
una notizia sentita casualmente alla vigilia di una
partitissima dei mondiali, mi dà lo spunto per parlare di un
fenomeno che non appartiene certo solo al pianeta calcio.
No, no, non ho alcuna intenzione di impantanarmi nella
palude delle grandi truffe, dei mega-intrallazzi, delle
pasticciopoli nazionali.
Lippi
ha ragione.
Lippi –
confesso che non so esattamente chi sia salvo il fatto che
prepara la nazionale – ha puntato il dito, forse senza
saperlo, su un malcostume tipicamente e trasversalmente
diffuso. Un vizietto che va ben oltre il mondo del calcio e
ben oltre il mondo giornalistico. Con il suo morbido accento
(credo) toscano, ai giornalisti che insistevano per
conoscere in anticipo la formazione della squadra, ha
risposto approssimativamente: se io
non rivelo la formazione “è per non dare vantaggi
all’avversario”, l’ho detto tante volte ma voi non volete
cambiare opinione, e continuate a telefonarmi la sera in
albergo.
Ora,
immagino che si possa discutere su questo come su altri
punti di vista, ma non ho sentito, in varie edizioni
successive di GR e TG, alcuna discussione su questa
strategia. Mentre, chiarissimo, il titolo di un giornale
radio sentenziava: Lippi “nasconde”
la formazione e apre una dura polemica con i giornalisti.
E nel
servizio: le premesse non sono
buone, Lippi “è nervoso”, sentite come risponde a una
semplice domanda… [GR1 26 giugno 06 ore 8]
Nessun
commento sulle ragioni di tale risposta, pepata sì,
ma quanto mai giusta. Singolare comportamento da parte di
chi dovrebbe informare.
Mi è
tornato in mente quanto lamentato da un mio paziente circa i
suoi difficili rapporti con un familiare:
quello che più mi irrita è la sua
pretesa di dirmi come io “sono”.
Questi
sono solo due esempi, ma se cominciate a farci caso, vi
accorgerete quanto spesso, in tutte le più svariate
circostanze, pubbliche o private, ciò accade. Quanto spesso
i giornalisti come i politici, gli amici come gli ospiti TV,
i condòmini come i colleghi di lavoro, affibbiano etichette
e giudizi su quello che una persona
è, è stata,
o dovrebbe essere, tanto
più quanto più la connotazione è negativa. Lippi è nervoso,
tu sei aggressivo, l’insegnante è troppo duro, il collega è
un lavativo. Saltando sorprendentemente la fase del
“perché”. Naturalmente gli
insulti fanno eccezione, essendo per definizione giudizi
negativi diretti e finalizzati a colpire, ma almeno,
per certi versi, leali.
Infinite discussioni nascono e si esauriscono, ahimè senza
vantaggio per alcuno, nel definirsi reciprocamente,
in modo più o meno intelligente e sottile, o viceversa in
modo becero e pesante, senza mai neppure sfiorare il
contenuto della discussione
stessa. In altri termini, non si discute se rivelare la
formazione di una squadra prima di una partita può davvero
favorire l’avversario. Non si discutono le motivazioni di
chi ad un referendum vota sì oppure no. Non si discute quasi
mai perché una determinata scelta – o valutazione, o
convinzione, o condotta - può essere più o meno conveniente
di un’altra in campo economico, lavorativo, sociale,
relazionale. No, si discute, spesso si litiga, su CHI dice,
pensa, sceglie o decide una cosa piuttosto che un’altra.
CHI è, in quale
categoria, o
ceto, o
provenienza geografica,
o colore politico,
eccetera eccetera, va inquadrato. E si reagisce a seconda
della categoria alla quale si pensa di appartenere e che si
pensa di dover difendere, a tutti i costi.
I
giornalisti che si sentono offesi se non vengono informati;
i familiari che pretendono di imporre la propria visione
della vita; i politici, professionisti o simpatizzanti, che
reclamano il potere come dovuto presumendo di conoscere
l’unica vera Soluzione Globale alle difficoltà del mondo;
gli sportivi che, non dovendo assumersi responsabilità in
prima persona, sanno sempre puntualmente cosa bisogna (o
bisognava) fare per vincere.
L’elenco potrebbe essere lunghissimo, ma il meccanismo
è sempre lo stesso, nei grandi sistemi come in quelli
piccoli piccoli: l’incapacità, o meglio
l’indisponibilità, sempre
più opprimente e pericolosa, ad
ascoltare le ragioni degli altri.
(Giugno 2006)
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