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Vorrei un paese in cui
ognuno fosse libero di avere delle proprie opinioni, ma
non si sentisse obbligato ad elargirle urbi et orbi.
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Vorrei un paese in cui i
genitori capissero che la cosa migliore che possono fare
per i loro figli è farli camminare con le loro gambe.
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Vorrei un paese in cui
non si sprecassero ore preziose della propria vita
nell’attesa di mezzi di trasporto pubblici sporchi
malandati e inefficienti.
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Vorrei un paese dove le
persone parlassero sottovoce e non costringessero tutti
i presenti nel raggio di un chilometro a venire edotti
degli affari loro.
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Vorrei un paese in cui il
rispetto per tutti fosse talmente grande che i vecchi si
chiamano vecchi, i non vedenti si chiamano ciechi, i
diversamente abili si chiamano handicappati e i neri si
chiamano negri. Le parole sono innocenti.
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Vorrei un paese dove la
responsabilità individuale non venisse continuamente e
allegramente ignorata e le “colpe” sempre attribuite a
qualcun altro.
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Vorrei un paese dove la
gente la smettesse di parlare di pace, e facesse pace
con i propri parenti, colleghi, vicini di casa,
concittadini. Anche con quelli che non la pensano come
loro.
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Vorrei un paese dove la
parola “diritti” venisse pronunciata l’esatto numero di
volte in cui è pronunciata la parola “doveri”.
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Vorrei un paese dove la
tolleranza non fosse necessaria, perché nessuno si pone
nella situazione di dover essere tollerato.
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Vorrei un paese in cui
non si pretendesse dagli altri la soluzione di problemi
che non si è in grado di risolvere da soli.
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Vorrei un paese dove
sfogarsi dei propri guai fosse l’eccezione e non la
regola.
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Vorrei un paese nel quale
si discutesse parlando uno alla volta. Sempre che, per
chi ha la parola, sia chiara la differenza tra una
conversazione e una trattazione senza interlocutori.
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Vorrei un paese in cui si
rispettassero impegni e appuntamenti e le 10 sono le 10
e non le 10 e un quarto, le 10 e mezza, più o meno le
10.
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Vorrei un paese in cui la
gentilezza fosse facoltativa, ma la buona educazione
fosse obbligatoria.
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Vorrei un paese in cui
gli avvocati si adoperassero perché la legge venga
applicata in nome della verità, e non per vincere le
cause.
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Vorrei un paese in cui i
medici agissero secondo sapienza e coscienza, e i
pazienti si convincessero che la medicina non è
onnipotente.
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Vorrei un paese in cui i
giovani sapessero quanto è gratificante farsi da soli la
propria strada.
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Vorrei un paese in cui
non ci fosse discrepanza tra l’uguaglianza davanti ai
diritti/doveri e il valore della diversità.
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Vorrei un paese in cui
chi ha di più, in conoscenza, intelligenza, talenti, e
capacità, non dovesse vergognarsene come di una colpa.
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Vorrei un paese in cui a
scuola si insegnasse con esercitazioni pratiche a
difendere le ragioni di un altro che non la pensa nello
stesso modo.
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Vorrei un paese in cui le
persone si interrogassero più spesso sulla genesi delle
presunte "proprie" convinzioni.
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Vorrei un paese in cui si
introducesse l’abitudine a rispondere alle domande. O al
limite a rifiutarsi di rispondere.
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Vorrei un paese in cui le
aziende ricominciassero a comunicare direttamente con i
loro utenti/clienti e non attraverso il muro di gomma
dei call center.
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Vorrei un paese in cui la
beneficenza diventasse inutile perché i destinatari non
ne hanno più bisogno.
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Vorrei un paese in cui
termini come serietà, correttezza, moralità,
reputazione, dignità non facessero più sganasciare dalle
risate.
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Vorrei un paese in cui la
mala fede esercitata pubblicamente fosse considerata un
reato.
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Vorrei un paese in cui si
ricominciasse a scrivere lettere, oltre che sms.