FamigliarMente
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La famiglia e le sue
dinamiche. I rapporti reciproci,
le fasi del ciclo vitale, gli
eventi più importanti.
La mente "piccola"
Il
secolo scorso è stato il secolo non solo delle grandi
innovazioni tecnologiche, ma anche forse il secolo più
importante per quanto riguarda la comprensione dei bambini.
Adesso sembra scontato, ma l’idea che il bambino non è un
adulto piccolo, e che il pensiero
infantile è diverso dal pensiero
adulto ha pochi decenni.
Un’altra importante scoperta sul tema è che
la conoscenza procede per gradi.
Come nasce – e si sviluppa – il pensiero in un bambino?
La
prima esigenza di un piccolo – di qualsiasi specie – è
sopravvivere.
Provate
a pensare ad un aquilotto appena nato che si vede piombare
addosso la madre, che potrebbe schiacciarlo con una zampata.
L’aquilotto non ha paura: sta tranquillo ed apre il becco,
sicuro che non potrà venirgli che qualcosa di buono da
quell’enorme creatura che lo sovrasta; eppure non l’ha mai
vista prima. Se ne fosse terrorizzato, si butterebbe giù dal
nido, o rifiuterebbe di aprire il becco, e quindi morirebbe.
Questa fiducia nel primo
essere che un piccolo vede appena apre gli occhi alla vita,
è innata.
Anche
il neonato umano è programmato biologicamente a fidarsi
delle figure di accudimento che di norma sono i genitori, ma
non necessariamente. Ma immediatamente inizia un processo
circolare di comunicazione tra il neonato e il contesto, per
cui il comportamento del piccolo determina una reazione
nell’adulto, che a sua volta determina una reazione nel
piccolo, e così via. Questo meccanismo indispensabile alla
sopravvivenza è quello che John
Bowlby* descrive
come sistema di
attaccamento.
Perché
sistema (bisognerebbe ancor
meglio parlare di sistemi interagenti)? Perché non
solo il bambino sviluppa un proprio modo di
relazionarsi con gli altri, in parte innato, ma anche il
genitore sviluppa un proprio metodo di accudimento e
protezione. Esattamente come il sistema del neonato anche il
sistema del genitore è in parte programmato biologicamente e
in parte è individualmente differente perché derivato dalle
esperienze che l’adulto ha avuto con altri bambini prima di
avere un figlio, dall’osservazione del comportamento di
altri genitori, e soprattutto dalle esperienze avute da
bambino con i propri genitori. Qualche tempo fa, in un
documentario televisivo, veniva mostrato il comportamento di
adulti (diversi) nei confronti di uno stesso bambino di
pochi mesi, vestito alternativamente con una tutina rosa e
una azzurra. Ebbene, il comportamento di un adulto convinto
di avere a che fare con un maschietto era completamente
diverso da quello adottato per una presunta femminuccia.
L’interazione
reciproca tra bambino e adulto è continua e spesso
inconsapevole. Ad esempio, se si osserva una madre che
chiacchiera con un’amica, mentre tiene in braccio il figlio
per addormentarlo, si vede un continuo scambio di
messaggi: la madre getta
sguardi rapidi e scanditi verso il figlio, mentre il neonato
a sua volta fa dei piccoli movimenti, ad intervalli
regolari, chiaramente finalizzati a richiamare l’attenzione
della madre, per esserne rassicurato, finché si addormenta.
La relazione reciproca è indispensabile al piccolo per
acquisire il concetto che le proprie azioni possono
influenzare l’ambiente, e questo viene inizialmente appreso
tramite le risposte della madre. Ciò è alla base
della motivazione, è ciò che
spinge un bambino a ripetere dei comportamenti utili o ad
evitare dei comportamenti dannosi, ad imitare dei
comportamenti, a tentare di risolvere dei problemi, a
socializzare, a sviluppare cioè le proprie capacità adattive
e a consentire lo sviluppo emotivo e la coscienza di sé.
Date queste premesse, è superfluo sottolineare l’importanza
cruciale del comportamento degli adulti in queste prime fasi
della vita.
*John Bowlby
(1907-1990), psichiatra inglese.
Nonostante esistano, come per tanti altri aspetti, varie
teorie sullo sviluppo psichico infantile, vi sono
tuttavia numerose analogie tra le diverse teorie. Ho
arbitrariamente scelto John Bowlby come teorico di
riferimento perché è riuscito ad integrare le discipline
della psicanalisi, della psicologia cognitivista e della
biologia evoluzionistica, approfondendo e completando i
suoi studi accademici con straordinarie esperienze sul
campo. Di lui il suo biografo J. Holmes ha scritto:
“Bowlby prendeva profondamente a cuore la sofferenza
mentale dei bambini”.
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