
IL PRISMA 15
.. l’originalità e l’autonomia di chi pensa ad un problema con la
mente
sgombra da preconcetti e schemi rigidi...
... cercare di vedere, di volta in volta prendendo
spunto dall’attualità, almeno un altro lato – oltre a quello più visibile –
di un immaginario
prisma
che
può servire a rappresentare, simbolicamente, situazioni, temi, concetti,
frequentemente presenti nei nostri discorsi, sui giornali, nelle
televisioni...
La busta col panettone
La
Signora Abbondanza era la mia maestra della scuola materna.
Il suo nome si modellava a pennello sulla sua immagine: era
una donna alta, rotonda, morbida, con un amore sconfinato
verso i bambini che avevano la fortuna di esserle affidati
da mamme titubanti ma, allora, fiduciose. Questa abbondanza
di amore traboccava dal suo sorriso, ma anche dal generoso
impegno che metteva in ogni attività. Preparava a casa dei
meravigliosi cartoncini decorati, a tema, e, per le grandi
occasioni, dei pupazzetti di pannolenci; per ognuno di noi.
Ci avviò al disegno ritagliando delle piccole sagome in
carta colorata che potevamo comporre in forme diverse,
incollandole poi su dei foglietti che venivano archiviati in
belle buste personali. Dei contrassegni che disegnava
personalmente - il mio era un panettone - venivano apposti
sulle buste, per riconoscere il materiale di ogni bambino da
quello degli altri. E poi c’erano i giochi in cortile, le
canzoni, le letture ad alta voce. Stavamo imparando a
scrivere e, come allora si usava, ci esercitavamo lettera
per lettera: una paginetta di “a”, una paginetta di “b”, e
così via. Ricordo lo sforzo, lingua tra i denti, per
disegnare ogni lettera un po’ meglio della precedente. E le
cornicette…! Le cornicette – disegni che contornavano sopra
e sotto ogni pagina - erano a nostro piacere, e compensavano
la piccola noia dell’esercizio di scrittura.
La
maestra ci invitava continuamente a tirar fuori la nostra
fantasia, la nostra infinita curiosità. La sensazione di
Libertà avvolta in un calore
protettivo e sicuro,
sperimentata in quei due anni, me la porto appiccicata
addosso ancora oggi, insieme alla mia busta col panettone.
Alle
elementari la maestra era la Signora Sabatini. Una donna
energica, con un volto da francobollo o da moneta, uno di
quei volti adatti a raffigurare una nazione, o un simbolo,
che so… la prudenza, l’arte, la dignità. Era severa la
Signora Sabatini, ma anche da lei emanava come un vapore
benefico, la passione per il suo lavoro, la voglia di
trasmetterci tutto il trasmissibile. Era giusta,
equilibrata, pretendeva compiti ordinati e unghie pulite, da
tutti, non importava da quale ambiente provenissimo.
Esercitava la sua autorevolezza senza esagerare mai, perché
il potere che un adulto inevitabilmente ha sui bambini è
pericoloso solo quando è esercitato per compensare
frustrazioni e fallimenti personali. E la Signora Sabatini
non era affatto una donna frustrata oh no! era una donna
appagata, conscia del suo ruolo, della sua influenza su
delle menti così acerbe, e quindi dell’enorme responsabilità
che aveva. Anni impegnativi, esaltanti: le gare di verbi, le
gare di aritmetica, i piccoli premi per i nostri piccoli
successi, quello sguardo sempre vigile ed esigente su di
noi, così diretto e apportatore di sicurezza.
La
quinta la feci in un’altra scuola, per un trasferimento
familiare. La Signora Sabatini – mai vista una lacrima in 4
anni - si era commossa all’idea che non sarebbe stata lei a
condurmi fino al traguardo. La nuova maestra non era
eccezionale, e l’inserimento in una nuova classe, di un
altro quartiere, non fu facile. Ma anche quella fu
un’esperienza utile perché imparai che
non si può sempre avere il meglio.
La
Signora Tamì Cascino fu la mia adorata insegnante di lettere
alle medie. Già anziana, di origini russe, il primo giorno
di scuola andò alla lavagna, disegnò degli orribili
scarabocchi che, con molta buona volontà, potevano sembrare
degli animali e attaccò allegramente a raccontarci lupus et
agnus in latino. Dopo pochi minuti eravamo affascinati. In
terza media scrivemmo una commedia in latino, la
rappresentammo e fummo tutti promossi con 8 e 9, senza mai
aver dovuto declinare rosa rosae.
Naturalmente capitò anche l’insegnante balorda, era quella
di inglese, ma la nostra confidenza con la Cascino era tale
che ne parlammo con lei. Lei ci tranquillizzò spiegandoci
che la collega non era cattiva ma stava vivendo un brutto
periodo per gravi problemi personali e dovevamo cercare di
avere un po’ di pazienza, non trascurando di studiare.
Incredibilmente, la prof d’inglese, dopo averci bistrattato
per 3 anni, all’esame di terza media fu gentile e promosse
tutti. Ma non era questo l’importante. L’importante era che
avevamo imparato che un insegnante poteva non essere
all’altezza del proprio ruolo ma questo non ci esimeva dallo
studio, che chiunque poteva sbagliare ma bisognava cercare
di non giudicare, e soprattutto che è
possibile tollerare un po’ di disagio senza che crolli il
mondo.
L’ultima insegnante che voglio qui ricordare è quella del
ginnasio: la Signora Limiti. Sembrava la sorella minore
della Sabatini: forte, decisa, con uno sguardo vivido e
attento che le era sufficiente per gratificarci o per
rimproverarci. Una volta la vidi incenerire, senza una
parola, un ragazzo che non aveva ceduto il passo ad una
compagna. A nessuno permetteva la benché minima mancanza di
rispetto, o atteggiamenti sciatti e trasandati. Ma il suo
rigore era per
noi e non contro
di noi. Non si poteva dire altrettanto dell’insegnante di
matematica, un po’ acida e, ancor peggio, del tutto
disinteressata al fatto che noi apprendessimo o meno
qualcosa. Non era un dramma: avevo già imparato che a volte,
insieme al positivo bisogna tollerare anche un po’ di
negativo e che un cattivo insegnante fa un gran danno
soprattutto a sé stesso.
L’ultimo giorno degli esami di ginnasio aspettai tremebonda
la Signora Limiti fuori dalla scuola per esserne rassicurata
– mi sembrava di aver sbagliato tutto – e lei mi sorprese
con un sorriso e una carezza: fissando quegli occhi
penetranti capii che aveva sempre saputo dei miei problemi
(un periodo familiare difficile), anche se non mi aveva per
questo fatto sconti.
Quel
“va tutto bene, stai tranquilla”, quasi da donna a donna, lo
ricorderò tutta la vita: fa parte della mia preziosa riserva
di risorse anti-stress.
Lo so,
qualcuno penserà che sono stata fortunata. In parte sì, in
parte no. La fortuna spesso va aiutata. Mia madre era dei
primi del novecento e aveva imparato a leggere e scrivere da
sola, armata solo della sua intelligenza e, quando si trattò
di mandare sua figlia a Scuola, quel luogo magico e
misterioso dove lei non aveva mai messo piede ma che
doveva essere
meraviglioso, comprese rapidamente che bisognava non solo
scegliere la scuola giusta, ma bisognava informarsi su quale
fosse la sezione migliore e poi darsi da fare per iscrivermi
proprio in quella sezione. Non a caso sia la scuola media
che il liceo non erano quelli più vicini a casa.
Cosa
voglio dire? Che oggi come allora per la
Qualità non servono i
soldi, non conta la classe sociale, persino la politica
conta poco. Quello che conta davvero è l’Impegno, la
Passione; il buon senso che non ti fa dare tutto per
scontato, la saggezza che non pretende tutto e subito ma
cerca faticosamente l’eccellenza. Insegnanti appassionati,
genitori responsabili e maturi che trasmettano ai giovani la
capacità di trasformare una difficoltà in opportunità di
crescita nuove e diverse, invece di lanciarsi con loro in
rivendicazioni e piagnistei. Questo serve.
Vi è
sembrato un amarcord nostalgico e un po’
deamicisiano?
Forse,
ma ancora oggi io guardo alla Scuola come ad un luogo
meraviglioso e magico, nella speranza che torni ad essere lo
spazio sacro dove
i ragazzi possano sentirsi talmente protetti da riconoscersi
totalmente liberi, e dove possano assorbire
virtute e canoscenza, e
non aggressività, arroganza e violenza. Dove possano
affilare le armi della mente prima di affrontare la vita.
Certo,
i giovani sono presuntuosi, tutti, in tutte le epoche.
Pensano sempre di saperne più delle generazioni precedenti,
pensano sempre di poter cambiare il mondo senza passare
attraverso preparazione ed esperienza. E’ naturale che sia
così. Ma proprio per questo non devono essere mandati allo
sbaraglio.
Ecco
perché gli adulti dovranno avere molto coraggio e tornare a
fare gli adulti.
(Ottobre
2008)
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