TeoricaMente 12
Questa pagina tratta di argomenti di
base della psicologia,
i suoi meccanismi, le sue leggi. Quei
meccanismi e quelle leggi
che tutti utilizziamo, ma… senza saperlo.
L'involuzione della specie
Stamattina ho ricevuto un invito ad un corso di “Formazione alla
nonviolenza”.
Ammetto che sono rimasta alquanto perplessa; sarebbe come
dire formazione alla nonaggressione,
al nonomicidio, alla
nonrapina, al
nonstupro...?
Tanto più assurda mi appare la necessità di una formazione
apposita al non-uso della violenza, fisica o verbale, in una
società - come la nostra - in cui parallelamente ad un
martellante predicare su pace, tolleranza, comprensione e
solidarietà, vengono messe in atto continue e altrettanto
martellanti manifestazioni di pura
aggressività fine a se stessa, leggi
violenza.*
Tralasciando l’aggressività “a mano armata” che spero sia
ancora un reato, e come tale non debba essere oggetto di
formazione al non-uso, limiterei le mie riflessioni alla
violenza verbale.
Ieri, appena uscita di casa, mi sono trovata la strada
bloccata da due auto ferme in direzioni di marcia opposte, i
cui conducenti, novelli Mercuzio e Tebaldo, si fissavano con
occhi di brace attraverso i vetri fumé dei finestrini
dicendo ognuno all’altro: “da qui
io non mi muovo”. Tutti sappiamo com’è finita in
quel di Verona. Vista l’impossibilità di far ragionare
almeno quello dei due che aveva lo spazio sufficiente per
procedere senza perdere la faccia,
brandendo il mio cellulare ho annunciato serafica che stavo
chiamando la polizia. Quattro occhi fiammeggianti di collera
si sono appuntati su di me, ma il numero magico 113 ha
magicamente sbloccato la situazione e con uno stridore di
gomme i due contendenti si sono allontanati.
Sono certa che a molti sarà capitato di assistere a scene
simili. Sempre che non l’abbiano interpretate... Purtroppo
non è solo la strada teatro di furibonde contese sul...
nulla. Capita negli uffici, nei negozi, a scuola, per non
parlare dei condomìni, del vicinato, e dei nostri tranquilli
gruppi di famiglia-in-un-interno.
Ma il teatro dei teatri è la televisione. Grande immensa
sorella con l’occhio instancabilmente puntato sul mondo. E,
insieme a tutta la Grande Violenza
che si abbatte sulla nostra coscienza (per chi ce
l’ha), si creano ad arte mille altre occasioni di piccola
violenza, meschina, stupida, gratuita.
Così si assiste incessantemente all’attacco feroce di gente
nota per essere nota ad un presentatore (per la serie
“facce ride”), ad una
canzonetta, ad un cantante o persino ad un abito o una
pettinatura (ogni riferimento al festival di Sanremo non è
affatto casuale); alle zuffe ininterrotte dei cosiddetti
reality; agli indecorosi battibecchi dei vari contenitori in
cui gli ospiti non si distinguono dagli habitué del
pubblico s-parlante; al linciaggio in diretta di
ragazzini apparentemente arroganti e coriacei, ma in
definitiva sempre ragazzini, da parte di “adulti”
irresponsabili e villani che, in nome della libertà
d’opinione, ci gratificano della loro profonda incompetenza.
Mi sto riferendo con quest’ultimo esempio alla trasmissione
Amici (nome decisamente
da cambiare), osservatorio preziosissimo per chi, come me,
si diletta, per mestiere e per passione, di
comunicazione e
dinamiche di gruppo. Do
atto alla De Filippi che per suo merito è tornata la danza
in tv, ma non è più sopportabile che ogni trasmissione – pur
essendo partita in tutt’altro modo – si trasformi in un
colosseo di tutti contro tutti, in cui l’istigazione
alla violenza viene fatta passare come
normale. Ma la cosa più
inquietante l’ha detta proprio la De Filippi, quando le è
scappato di affermare che se la trasmissione esiste e
resiste è perché ha un’alta audience e – indovinate un po’ –
come si alza l’audience? Con le risse, con i figuranti a
gettone che seminano maldicenza e ostilità, con le lacrime
di umiliazione e di rabbia di tanti ragazzini allevati nella
convinzione che questo sia il prezzo da pagare al talento e
al successo.
Si straparla di solidarietà in un’orgia di
io-sono–come-te-tu-sei-come-me, mentre ovunque, con un
perverso processo imitativo, dentro e fuori la tv,
proliferano giudizi affilati come lame in un duello,
opinioni irose scagliate come rivalse, piccole misere
vendette lanciate, in realtà, contro una vita – la propria -
sentita come anonima e insulsa.
Che spreco di energie!
Ma come è possibile che una società “sana” accetti tutto
questo, anzi no, ne sia l’artefice?! Se il meccanismo che
premia o boccia una trasmissione è l’audience, allora è il
gradimento del pubblico che stabilisce i programmi, o no?
Quindi, o si decide di modificare il meccanismo e si torna
all’idea che, se la televisione non deve necessariamente
educare, almeno non deve diseducare. Oppure dobbiamo
accettare la terrificante idea
che viviamo in una società che si nutre, e nutre i suoi
figli, di un’aggressività sguaiata e crudele che ha l’unico
scopo di sfogare frustrazioni e invidie; una società che sta
tirando su dei galletti da combattimento, povere creature
destinate ad uccidere per non essere uccise.
Ma io davvero non ci riesco.
Chi mi conosce sa che non sono per l’iperprotezione dei
ragazzi, anzi. Genitori e insegnanti dovrebbero riprendersi
con fermezza il loro ruolo educativo, intervenendo
energicamente ogni qualvolta sia necessario. E neppure mi
piace l’ipocrisia, quella di una volta tutta moine e
falsità, tanto meno quella di oggi tutta buonismo e
volemosebene. Tuttavia, senza un controllo razionale
dell’attuale incontinenza verbale, per alcuni – più giovani
e sprovveduti - il passaggio dalla violenza pensata e
parlata a quella agita può
essere breve (non a caso il bullismo
è un fenomeno in preoccupante crescita).
E veniamo alle ipotetiche cause.
Mi perdonino i sociologi se invado il loro campo, ma ho
l’impressione che la nostra quotidiana violenza spicciola,
fruita con pari ingordigia da attori e spettatori, sia il
frutto di una cultura schizofrenica che, mentre propone il
valore della diversità, impone
un generale appiattimento (in basso)
nel tentativo di raggiungere un’uguaglianza
fittizia e l’abolizione della
competitività come cose buone e giuste. Se è giusto
che uguaglianza deve esserci su diritti e doveri,
opportunità e strumenti, pensare che davvero siamo tutti
uguali è semplicemente innaturale, e anche ingiusto. Voler
migliorare la propria condizione materiale, e voler
altrettanto aspirare ad una evoluzione esistenziale, facendo
emergere le proprie potenzialità, in una ricerca del proprio
primato, in competizione con se stessi ma anche con gli
altri, è una delle caratteristiche più belle, affascinanti
(e misteriose) degli esseri viventi. Se non fosse così,
saremmo ancora tutti nelle caverne a mangiare carne cruda.
Una giusta e misurata aggressività
e una corretta competizione
sono quelle che coincidono con l’istinto di sopravvivenza,
ci permettono di affrontare le avversità, di non soccombere
alle prevaricazioni, di migliorare la nostra e l’altrui
esistenza. E, a mio parere,
aiutano, paradossalmente, a combattere la violenza.
Queste componenti dell’animo umano possono essere
estremamente positive se educate e indirizzate, mentre
possono essere molto pericolose se vengono ignorate o
represse.
Insomma, penso che cancellare forzatamente qualcosa di
innato è utopico quanto controproducente: chi non conosce
quell’irrefrenabile voglia di cioccolata che scatta non
appena questa viene esclusa da una dieta?
Mi scuso per la metafora azzardata e un po’... golosa, ma
davvero non credo si possa insegnare la non-violenza, così
come mi sembra bizzarro insegnare una qualsiasi
non-qualcosa. Si può invece insegnare, e imparare, a gestire
bene la nostra naturale aggressività, a farne uno strumento
utile.
E perché non usare un po’ di sana aggressività
per combattere il degrado e
l’imbarbarimento della nostra società? Proviamo a far
tornare di moda, pur nella competizione,
rispetto ed
eleganza.
Se questo vi sembra un accorato appello, beh, lo è.
*
Esistono mille definizioni per
violenza e aggressività, ma forse,
semplificando al massimo, la differenza fondamentale è
che se l’aggressività può essere finalizzata a qualcosa
di positivo e può - anzi deve – trovare il suo limite
nel danno ad altri, la violenza realizza sempre e
comunque un danno per qualcuno, perché quello è il suo
unico scopo.
(Marzo
2006)
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