TeoricaMente 9
Questa pagina tratta di argomenti di
base della psicologia,
i suoi meccanismi, le sue leggi. Quei
meccanismi e quelle leggi
che tutti utilizziamo, ma… senza saperlo.
L'Autenticità
Una gentile amica mi ha posto
delle domande sull’Autenticità, tema stranamente di moda, in
un’epoca in cui le apparenze sono ritenute ben più
importanti della sostanza.
-
Cos'è l'autenticità?
Ho l’abitudine di iniziare le mie riflessioni
su qualunque tema, partendo dal significato più letterale
dei termini. Il dizionario di lingua italiana, su ciò che
è autentico (dal greco authenticòs: che è fatto da sé)
recita “che proviene con certezza da chi ne è indicato
quale autore”.
In realtà essere autentici è esattamente
questo, né più né meno: se penso o dico qualcosa; se esprimo
una convinzione o un’emozione; se mi comporto in un
determinato modo, ebbene sono autentico quando quella
convinzione, o emozione, o comportamento proviene proprio
da me, è frutto delle mie esperienze e del mio
ragionamento, e non di suggerimenti o imposizioni
provenienti dall’esterno.
- Quindi cosa vuol dire
essere autentici?
Forse la definizione più semplice è “essere
se stessi”. Ma per essere se stessi, bisogna sapere
chi si è realmente, bisogna conoscersi. Quando e se
ci si conosce, allora si è in grado di essere autentici
innanzitutto con se stessi. Manifestarsi o no agli altri è
un problema secondario, o un falso problema.
Come
si può imparare a conoscersi? Ad esempio cercando di
osservarsi come dal di fuori ed interrogandosi su quelle che
pensiamo siano le nostre convinzioni. Sono veramente le
nostre convinzioni? E se improvvisamente non le
sentiamo più come nostre, da dove o da chi provengono?
Ma io la penso veramente così?
- L'autenticità può rendere
vulnerabili?
Si è più o meno vulnerabili per tanti motivi.
In generale, tanto più ci si sente sicuri di sé e saldi e
forti sia nelle certezze acquisite che nei propri dubbi,
tanto più ci si può permettere di esporsi; di esporre
anche i propri limiti e le proprie debolezze.
Il rischio, molto probabile, è che qualcuno
possa approfittarne. L’importante è saperlo e
domandarsi se si è in grado di tollerare un eventuale
“attacco” poco amichevole: se non ci si sente abbastanza
forti, è saggio esporsi di meno, ma è essenziale chiedersene
il perché.
- Si può “imparare” ad
essere autentici?
Ho sempre amato quella famosa poesia di
Kipling “If”, un vero e proprio manuale per imparare ad
essere Uomo (o, naturalmente, Donna), nel senso pieno del
termine.
Proviamo a chiederci:
Quanto conta per me il giudizio altrui?
La mia sicurezza davvero dipende da ciò che
gli altri pensano di me?
Quanto spesso mi adeguo a ciò che gli
altri si aspettano da me?
Quanto di me sono disposto a sacrificare pur
di piacere agli altri?
Riesco a mettere in discussione luoghi
comuni, mode e tendenze, senza sentirmi “out”?
- Fino a che punto si può
essere autentici con gli altri?
Non è obbligatorio, ma certamente si può
se... si vuole.
Dipende da molti fattori: per esempio dal
grado di confidenza e di intimità che si ha con una
determinata persona; solo una conoscenza non superficiale ci
consente di prevedere con ragionevole approssimazione se e
quanto quella persona potrebbe approfittarne.
E comunque non ridurrei il problema alla
scelta tra essere autentici o essere falsi. Chi ha stabilito
che si debba per forza esternare tutto quello che
pensiamo? Intanto non è detto che agli altri interessi, e
comunque ci si può esprimere moderatamente, senza per
questo mentire o essere falsi.
Trovare il punto di equilibrio è sempre la
cosa più difficile: il punto di equilibrio tra il legittimo
(ma non obbligatorio) desiderio di esprimersi per quello che
realmente si è, la necessità di doversi difendere in una
società - la nostra - (che nonostante i continui solenni
proclami sul valore della comprensione e della tolleranza
non è certo molto tenera), e il rispetto delle regole
sociali.
Un buon modo per misurare la nostra
“intelligenza sociale” è quello di osservare, oltre che noi
stessi, anche le reazioni degli altri. Ad esempio, se, la
maggior parte delle volte che interagiamo con gli altri,
provochiamo reazioni stizzite, o aggressive, o di malcelato
fastidio, domandiamoci il perché; cosa può esserci nel
nostro comportamento che irrita gli altri? Forse abbiamo
un’eccessiva tendenza a distribuire agli altri opinioni e
saggi consigli non richiesti; forse reagiamo con eccessiva
veemenza quando sono gli altri a cercare di imporci opinioni
e consigli. Una volta scoperto il motivo, potremmo anche
decidere di continuare ...ad irritarli, ma almeno sarà una
decisione consapevole, no?
Oppure, con spirito ed autoironia potremmo
rendere accettabile un nostro difetto dichiarandolo in
anticipo. Per esempio: scusatemi, io sono un logorroico: se
parlo troppo, per favore interrompetemi!
Il senso della misura e soprattutto, so di
ripetermi, la conoscenza di sé stessi - pregi, difetti,
limiti - e un’onesta sincera autocritica possono aiutare.
In fondo essere autenticamente se stessi è,
molto semplicemente, una questione di libertà, libertà che -
come tutti sappiamo - dovrebbe avere come unico limite il
rispetto per gli altri, per le regole della convivenza
civile e per le leggi che una determinata società si è data
e condivide.
- Essere troppo sinceri,
come quando onestamente si riconosce un errore, come già
detto, può indurre gli altri ad approfittarne. Che fare?
Se siamo sicuri di agire nel modo giusto, non
dovremmo preoccuparci della reazione altrui.
Se penso di dovermi scusare, credo che il
modo migliore sia il più semplice: “chiedo scusa, mi rendo
conto che ho sbagliato ad agire così”. Non è necessario
spiegare il perché e il percome. Questo riguarda solo noi,
affinché anche un errore diventi un’esperienza costruttiva.
- Giustificarsi riconoscendo
un errore per scaricarsi la coscienza è da considerare
autenticità o viltà?
Credo che viltà sia il contrario di coraggio,
e non di autenticità. Anche se indubbiamente a volte, per
essere autentici ci vuole coraggio! Ma potrebbe volerci
coraggio anche per rinunciare alla propria
autenticità, se le circostanze lo richiedono.
Venendo all’esempio, direi che quando si è
sinceramente disposti ad ammettere un errore, o a chiedere
scusa, non dovrebbe essere necessario giustificarsi.
Se ci si pensa bene, giustificarsi in realtà
equivale a non ammettere l’ errore, a non
chiedere scusa. Se io penso di avere delle giustificazioni
al mio operato, questo vuol dire che non ho sbagliato e
quindi non devo chiedere scusa.
- Quando non siamo
d’accordo con qualcuno, è meglio tacere rinunciando ad
essere autentici e rischiando di sembrare deboli, o dobbiamo
esprimerci sempre e comunque? E’ utile l’arma dell’ironia?
Un ottimo intelligente sistema per non
scatenare l’aggressività altrui è iniziare il discorso in
modo conciliante: “Sono d’accordo, ma forse andrebbe anche
considerato che ...” In quanto al sembrare (o sentirsi?)
deboli, dipende dalla forza degli argomenti che
abbiamo a sostegno del nostro punto di vista.
L’ironia infine è un’arma eccezionale, ma
come tutte le armi deve essere usata con cautela e
prudenza, perché può anche ferire. Il nostro interlocutore
può sentirsi preso in giro, oppure è permaloso, oppure
l’argomento per qualche motivo lo tocca più di quanto
appaia. Nel dubbio, a volte è meglio non raccogliere,
oppure interessarsi alle motivazioni altrui con semplici
domande e con disponibilità ad ascoltare le risposte: “Come
mai dici questo?”
Se l’altro
poi non vi chiede come la pensate voi… non è essenziale
dirglielo.
Oppure vi sembra indispensabile?
(Marzo
2004)
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