DolorosaMente
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La sofferenza psicologica è insita nell’uomo e va dalle gravi malattie
mentali a quelle situazioni di disagio che tutti, più o meno,
abbiamo sperimentato o di cui abbiamo
comunque sentito parlare
come stress, ansia, panico, fobie.
Avatar e la paura di vivere
Si
legge in questi giorni che “Avatar”
(James Cameron, 2009) provocherebbe depressione e idee di
suicidio in soggetti giovani e giovanissimi. Non sono in
grado di quantificare questo fenomeno, né saprei dire in
che misura è già presente in Italia, ma, se pure riguardasse
pochi individui, sarebbe comunque un segnale allarmante.
Vorrebbe forse dire che se oggi si riproponesse “A
beautiful mind” (Ron Howard, 2001), gli
spettatori comincerebbero ad avere allucinazioni? Oppure,
dopo aver visto una riedizione di
“Un giorno di ordinaria follia” (Joel
Schumacher, 1993), uscirebbero dal cinema pronti a fare una
strage? Non lo credo. La suggestione, anche collettiva, è
un fenomeno ben conosciuto. Ma uno stato depressivo
difficilmente può essere classificato come un fenomeno
collettivo.
Un
mondo fantastico, meraviglioso e perfetto è sempre esistito.
Nelle favole. Nei sogni. Nelle utopie. Il livello
tecnologico altissimo raggiunto nella realizzazione di
Avatar indubbiamente permette un’immersione quasi totale nel
mondo virtuale di Pandora, ed è comprensibile un certo grado
di coinvolgimento. Tuttavia i giovani d’oggi dovrebbero
essere avvezzi agli “effetti speciali” molto più di chi, ad
esempio, ha sperimentato il cinerama de
“La
conquista del West”,
nei lontani anni ’60 (John Ford, 1962).
Allora
cosa sta succedendo?
Questi
alcuni dei post pubblicati sui forum e riportati dai
giornali:
«Da quando ho visto Avatar sono depresso.
Guardando il favoloso mondo di Pandora, ho realizzato
che vorrei vivere in un posto così. Ho pensato di
uccidermi, magari rinascerò in un luogo simile a quello
del film, dove tutto è come in Avatar»
«Quando mi sono svegliato la mattina dopo
essere stato al cinema, il mondo mi è apparso grigio. Il
mio lavoro, la mia vita, tutto ha perso ogni valore. E'
tutto così insignificante, è un mondo di morte»
«Sono depresso perchè voglio vivere a
Pandora, dove ogni cosa è perfetta. Inoltre, mi sento
triste perchè il mio mondo fa schifo, sono disgustato da
come la razza umana ha distrutto la Terra»
Senza
ovviamente generalizzare, ho avuto spesso modo di constatare
che i ragazzi delle ultime generazioni danno per scontati
una serie di “privilegi” che scontati non sono, né tanto
meno dovuti. E se li aspettano, li pretendono. Come
se la vita dovesse loro “un credito illimitato” (così diceva
un mio paziente).
Come se
avessero nella testa un modello
ideale al quale la vita deve uniformarsi.
Pace e amore. Una natura amica e incontaminata. Giustizia
per tutti. Bellezza, felicità e armonia. Come a Pandora. Se
l’idea è questa e ci si guarda intorno, è facile convincersi
di essere stati defraudati, di stare subendo un’ingiustizia.
Si
potrebbe parlare di una forma di egocentrismo di tipo
infantile. Quello per cui i bambini piccoli pensano che
tutto ruoti intorno a loro. Che il mondo esista solo per
soddisfare le loro esigenze. I bambini sono esseri “nuovi”
senza passato e futuro, senza storia, concentrati
nell’attimo presente. Ed è giusto e fisiologico che sia
così.
Ma
molti adolescenti continuano a trascinarsi, talvolta fino
all’età adulta, una preoccupante mancanza di consapevolezza
rispetto ad un contesto spazio-temporale che è
la storia dell’esistenza umana.
Si percepiscono come se fossero i “primi”, staccati dal
passato, come se gli esseri umani delle generazioni
precedenti, degli anni, dei millenni precedenti, e di altri
luoghi, non fossero esistiti e non esistessero; non
avessero a loro volta trovato difficoltà e dolore e non
avessero dovuto lottare per migliorare la propria
condizione.
Quanti
si rendono conto che solo cent’anni fa non c’erano il
telefono, la televisione, l’insulina e gli antibiotici, che
in trent’anni ci sono state 2 guerre con milioni di morti,
che solo sessant’anni fa mangiare 3 volte al giorno era una
conquista e andare a scuola un lusso, che solo quarant’anni
fa avere un lavoro gratificante, un’automobile, una bella
casa, comodità e divertimenti, era per pochi fortunati?! E
che in altri luoghi del mondo è ancora così?!
Non è
un po’ assurda la pretesa di trovare tutto già fatto,
problemi risolti, natura in equilibrio, specie umana
finalmente saggia ed evoluta?
Il
mondo è brutto? La vita non è come la vorrei? Ci sono i
cattivi che stanno rovinando il mio mondo perfetto? Allora
io non voglio starci.
Allo
stesso modo, non si accettano fallimenti, sconfitte,
abbandoni. La felicità mi è dovuta,
è un mio diritto. Dovrei conquistarmi tutto con le unghie e
con i denti? Allora non voglio starci.
E anche
tutto il resto del mondo deve funzionare bene, perché
io non sono egoista, voglio che
tutti siano felici, che abbiano da mangiare e l’acqua, e
libertà, e calore quando fa freddo, e le foreste amazzoniche
devono vivere, e cibo e rispetto per gli animali… Non è già
così? Allora non voglio starci.
Rendersi conto di questo schema mentale è molto importante.
Faccio un esempio: se ad una persona capita un incidente,
una malattia, un lutto, quella persona soffre diciamo in
modo sano; ma se all’incidente, alla malattia o al
lutto, si somma la convinzione di aver subìto un’ingiustizia
- perché è successo? non era così che doveva
andare… - la sofferenza diventa insopportabile.
A chi
si sente deprivato di un diritto, e non è abituato a
combattere per conquistarlo, non resta che la
fuga. Nella droga,
nell’alcool, nella musica allucinogena dei rave party,
nell’estraniamento mascherato da un’iperemotività
esasperata quanto fuggevole. Nel consumismo compensatorio o
nell’idealismo più inconcludente. Oppure nella
depressione, la cui genesi
coincide con una sorta di “resa” di chi è convinto di non
farcela.
Tutto
questo esisteva già prima di Avatar.
E’
legittimo desiderare una vita serena in un mondo
meraviglioso, inseguire sogni e ideali. Ma avere un modello
di “vita perfetta” è sicura fonte di delusioni e
disperazione. Crescere significa riuscire a smantellare
questo modello e a sostituirlo con
un’idea ragionevole di esistenza reale. Acquisendo
anche la capacità di consolarsi degli aspetti iniqui e
crudeli con le sorprendenti meraviglie che pure,
incredibilmente, ci circondano.
E qui
vengo alle domande fondamentali: chi insegna ai bambini che
la realtà è imperfetta, ma va affrontata? Che le favole sono
necessarie e che è bello riposarsi nella fantasia, ma che
l’esistenza va vissuta come una sfida, mettendoci tutta la
forza e il cuore di cui siamo capaci? Chi spiega loro la
differenza tra un desiderio e la possibilità di realizzarlo?
Chi
insegna ai giovani che ogni singolo individuo è chiamato ad
assumersi delle responsabilità e a fare la propria parte
perché questo vecchio mondo, l’unico che abbiamo, difficile
e terribilmente complesso, diventi migliore?
Avatar non c’entra,
ha solo illuminato la punta di un iceberg che si aggira
silenzioso intorno a noi.
Si
possono tirar su dei figli forti, consapevoli, coraggiosi,
oppure degli esseri fragili, sempre in fuga, con tanti sogni
nella testa e tanta paura di vivere. Degli avatar sperduti
sull’imperfetto pianeta Terra.
Agli
adulti la scelta.
(Gennaio 2010)
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